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Corte di Cassazione: accolta la domanda di risarcimento per straining

Corte di Cassazione: accolta la domanda di risarcimento per straining

Con l’ordinanza 18164/2018 la Corte di Cassazione afferma che il dipendente può ottenere il risarcimento del danno in conseguenza di condotte qualificabili come straining, seppur nel ricorso lamenti di essere stato oggetto soltanto di mobbing.

Il fatto da cui ha avuto origine la vertenza

La lavoratrice ha fatto ricorso all’autorità giudiziaria per vedere accertata la sussistenza di una condotta mobbizzante posta in essere dal datore di lavoro, richiedendo una condanna di quest’ultimo ad un risarcimento danni, patrimoniali e non, per complessivi € 200.000,00, oltreché alla reintegra nel posto di lavoro e agli ulteriori danni commisurati al mancato guadagno del periodo intercorrente tra il licenziamento e la (eventuale) reintegra.

Il giudice di primo grado ha rigettato la domanda; in sede di appello, il giudice, respingendo parimenti la domanda della lavoratrice, affermava che solo con il ricorso in appello fosse stata prospettata un’ipotesi di straining in aggiunta a quella di mobbing.

L’ordinanza

La Cassazione ribadisce che lo straining  altro non è se non una forma attenuata di mobbing  nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie che, ove si rivelino produttive di danno all’integrità psico-fisica del lavoratore, giustificano la pretesa risarcitoria fondata sull’art. 2087 c.c.

Secondo i Giudici di legittimità, pertanto, l’aver qualificato la fattispecie come straining, pur presentando il ricorso riferimenti soltanto al mobbing, non integra violazione dell’art. 112 c.p.c. (divieto di novazione in appello), in quanto si tratta soltanto di differente qualificazione di tipo medico-legale del medesimo fatto lesivo.

Su tali presupposti la Suprema Corte accoglie il ricorso presentato dalla lavoratrice e cassa, con rinvio al giudice di appello, la precedente pronuncia di secondo grado.

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