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Controlli a distanza con accordo o autorizzazione

Controlli a distanza con accordo o autorizzazione

Riportiamo un interessante articolo dell’avvocato Aldo Bottini pubblicato qualche giorno fa su Il Sole 24 Ore.

 

Controlli a distanza con accordo o autorizzazione

 

Ormai dal settembre 2015 non è più richiesto alcun accordo sindacale o autorizzazione preventiva dell’Ispettorato del lavoro per l’installazione e l’utilizzo di strumenti usati dal dipendente allo scopo di rendere la prestazione lavorativa, o di strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza da parte dell’azienda. Al contrario, l’accordo o l’autorizzazione dell’Ispettorato sono ancora necessari per installare un impianto di videosorveglianza sul posto di lavoro, così come altri strumenti (diversi da quelli di lavoro) dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dei dipendenti, e solo a condizione che siano necessari per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale.

 

Diventa quindi cruciale distinguere tra strumenti di lavoro e non, distinzione non sempre agevole, anche considerando l’atteggiamento conservativo e le interpretazioni restrittive dell’Ispettorato e del Garante privacy, che tendono a considerare strumenti di lavoro solo quelli “indispensabili” per la prestazione. In questo modo ottengono l’effetto di espandere, forse anche oltre l’intento di semplificazione e modernizzazione del legislatore del 2015, l’area delle fattispecie soggette ad autorizzazione sindacale o amministrativa.

 

Inoltre, affinché i dati raccolti attraverso tutti gli strumenti siano utilizzabili dall’impresa, occorre una policy aziendale, da comunicare ai dipendenti, che espliciti in maniera adeguata le modalità di uso degli strumenti e quelle di effettuazione dei controlli.

 

Le aperture della Cedu

 

La questione dei controlli a distanza dei lavoratori e dei cosiddetti controlli difensivi è tornata agli onori della cronaca a seguito della pubblicazione della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 17 ottobre 2019.

 

La Cedu ha infatti affermato che l’installazione da parte del datore di lavoro di telecamere anche nascoste al fine di individuare gli autori di furti verificatisi in azienda non è contraria ai principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e, in particolare, all’articolo 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) purché giustificata dal fondato sospetto di gravi illeciti e circoscritta nel tempo e nello spazio.

 

La questione che si pone dopo tale decisione è come coordinare i principi enunciati dalla Cedu con la nostra normativa nazionale. In altri termini, è possibile oggi in Italia, ed eventualmente in quali casi, installare un impianto di controllo senza le garanzie procedurali previste dall’articolo 4 dello statuto dei lavoratori? È infatti evidente come l’applicazione delle prescrizioni poste da tale norma sia incompatibile con qualsiasi forma di controllo occulto, anche se motivato da esigenze di tutela del patrimonio aziendale, come nel caso esaminato dalla Cedu.

 

La risposta potrebbe essere quella di superare i vincoli derivanti dall’articolo 4 dello statuto (accordo sindacale o autorizzazione preventiva dell’Ispettorato e adeguata informativa ai lavoratori), qualora vi sia una comprovata esigenza di far fronte a oggettive e documentabili ipotesi di fondato sospetto del verificarsi di illeciti ai danni dell’azienda. Si tratta di un approdo non nuovo, bensì già esaminato in passato dalla giurisprudenza italiana a proposito dei controlli difensivi, ovvero quei controlli che hanno a oggetto non la prestazione lavorativa ma la commissione di illeciti.

 

Nel passato la giurisprudenza ha considerato, pur con particolare cautele, possibili e validi simili controlli. Un approccio del genere potrebbe trovare anche oggi applicazione, sempre però nei limiti posti dai principi di necessità e proporzionalità che stanno alla base della normativa privacy, come ha del resto fatto rilevare lo stesso Garante all’indomani della sentenza della corte europea. Ciò naturalmente solo nel caso in cui il datore di lavoro sia in grado di mostrare l’esistenza di fondati sospetti e l’interesse che si ritiene leso sia degno di tutela.

Fuori dai casi di fondato sospetto di illecito, resta confermata la necessità (articolo 4, comma 3, dello statuto dei lavoratori) di informare il personale dipendente, in maniera adeguata, sulle modalità di uso e di effettuazione dei controlli che il datore possa porre in essere attraverso i dispositivi tecnologici implementati in azienda, sia che si tratti di strumenti di lavoro, ossia quelli utilizzati per rendere la prestazione lavorativa, sia con riferimento a tutti gli altri strumenti che possano consentire un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori.

Avv. Aldo Bottini [Fonte: Il Sole 24 Ore_ allegato dell’8 luglio 2020]

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