La retribuzione si riduce solo con un’intesa tra le parti
Riportiamo integralmente un articolo di Giampiero Falasca pubblicato su Il Sole 24 Ore la scorsa settimana in merito alla possibilità di riduzione della retribuzione del dipendente.
La retribuzione si riduce solo con un’intesa tra le parti
Gli effetti economici negativi dell’emergenza Covid-19 possono avere un impatto rilevante su un istituto tradizionalmente considerato immutabile: la retribuzione del dipendente.
Pur restando invariato il principio di irriducibilità della retribuzione, così come mantengono efficacia indirettamente vincolante i minimi tabellari fissati dai contratti collettivi di lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, una variazione della retribuzione potrebbe avvenire perché diventa più forte la spinta a trovare soluzioni che consentano di ridurre tale trattamento seguendo l’unica strada legalmente percorribile: l’accordo tra le parti.
Quello che è normalmente vietato, cioè la diminuzione dell’importo individuale o il cambiamento dei minimi tabellari, diventa possibile se c’è un accordo con la controparte (il singolo lavoratore o i rappresentanti sindacali) chiamata a subire l’eventuale conseguenza della riduzione.
Questo consenso va espresso e formulato con forme differenti in relazioni alle diverse casistiche.
Patto individuale
Tutte le modifiche al trattamento economico individuale devono fare i conti con il principio di irriducibilità, fissato dall’articolo 2103 del Codice civile, in virtù del quale è nullo ogni patto tra azienda e lavoratore avente a oggetto la riduzione del trattamento economico. Questa regola ha tuttavia delle eccezioni.
È possibile, infatti, mediante accordo tra le parti, modificare alcuni aspetti del rapporto (la retribuzione, le mansioni e l’inquadramento) se l’intesa persegue alcune finalità specifiche: l’interesse del dipendente a conservare il rapporto di lavoro, l’acquisizione di una professionalità diversa da quella attuale e, infine, la volontà del dipendente di migliorare le proprie condizioni di vita. L’intesa per la riduzione del trattamento economico, inoltre, deve avere una forma specifica: oltre a essere sottoscritta tra le parti, deve essere siglata in una delle sedi appositamente autorizzate dalla legge a verificare la genuinità del consenso prestato dal lavoratore (sede sindacale nelle forme previste dal Ccnl, commissione di conciliazione presso l’Ispettorato territoriale del lavoro, commissione di certificazione).
La mancata firma in tale sede rende instabile l’accordo in deroga: il dipendente, infatti, lo può invalidare entro 6 mesi dalla firma.
Accordo di prossimità
Anche nel caso di intervento sui minimi previsti da un accordo collettivo, la riduzione della retribuzione passa attraverso un’intesa, che in questo caso va sottoscritta con le organizzazioni sindacali legittimate a intervenire su un certo accordo.
Tale intesa può avvenire secondo uno schema negoziale ordinario (in sede di rinnovo del contratto, le parti decidono di modificare in peggio i livelli tabellari minimi) oppure, molto più probabilmente, può essere raggiunta con le forme del cosiddetto accordo di prossimità.
L’articolo 8 della legge 148/2011 ha dato agli accordi collettivi aziendali o territoriali, sottoscritti da organismi sindacali muniti di particolare rappresentatività, il potere di derogare in peggio ad alcune regole previste dalla legge o dai contratti nazionali, tra le quale può rientrare il trattamento economico del dipendente. Questa modifica può interessare voci diverse dai semplici minimi retributivi (per esempio può incidere su alcuni elementi accessori della retribuzione oppure sugli istituti indiretti e differiti), ed è lecita solo a patto che l’accordo persegua alcune finalità specifiche, tra le quali rientra la gestione di eventuali crisi occupazionali.
Tutte queste misure – tanto gli accordi individuali quanto le eventuali pattuizioni collettive in deroga – dovrebbero, per avere maggiore forza giuridica, essere strettamente collegate alla situazione contingente dell’impresa e, salvo i casi di mutamenti definitivi delle mansioni, avrebbero maggiore forza e tenuta giuridica qualora le parti decidessero di applicare per un periodo di tempo limitato (ad esempio fino alla fine della crisi, entro un triennio, eccetera).
Dirigenti
Un capitolo a parte va dedicato ai dirigenti. Questa particolare categoria di lavoratori è soggetta alle regole sopra descritte, anche se ci sono diverse specificità legate alla complessità e alla delicatezza del ruolo che rivestono nelle aziende, ma anche alla particolare struttura del trattamento economico.
Da questo punto di vista, l’eventuale percorso di revisione della retribuzione dovrebbe tenere conto dell’intero pacchetto che la compone, che normalmente prevede una rilevante quota di premi legati al raggiungimento di specifici obiettivi e un’altrettanto rilevante quota di benefit di vario tipo. Un intervento di riduzione del costo complessivo di questi lavoratori dovrebbe considerare tutti questi aspetti.
Avv. Giampiero Falasca
Dla Piper
[Fonte: Il Sole 24 Ore]
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