Corte di Cassazione: appropriazione indebita per il dipendente che si impossessa dei file aziendali

La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 11959/2020, respinge il ricorso contro la condanna per il reato, previsto dall’articolo 646 c.p., a carico dell’imputato.
Il ricorrente, dipendente di una società, aveva dato le sue dimissioni ed era stato assunto da una azienda, costituita di recente, che operava nello stesso settore del precedente datore di lavoro. Prima del congedo l’imputato aveva restituito il notebook aziendale, che gli era stato affidato nel corso del rapporto di lavoro, con l’hard disk formattato, senza traccia dei dati informatici che erano presenti in origine, che venivano poi ritrovati su PC da lui utilizzati.
Scatta l’appropriazione indebita per il dipendente che sottrae dal computer aziendale i files contenenti dati informatici, provvedendo alla successiva cancellazione e alla restituzione del Pc formattato.
La Corte di Cassazione valorizza la capacità dei file di essere trasferiti da un supporto informatico ad un altro, mantenendo le proprie caratteristiche strutturali, così come la possibilità che lo stesso dato viaggi attraverso la rete di Internet per essere inviato da un sistema dispositivo ad un altro sistema, a distanze rilevanti. In più il file può essere custodito in ambienti virtuali, corrispondenti ai luoghi fisici in cui gli elaboratori conservano e trattano i dati informatici. Caratteristiche che confermano, precisano i giudici, il presupposto logico della possibilità di sottrarre o appropriarsi dei dati informatici. Per questo, anche in assenza, della apprensione materialmente percepibile del file in sè, questo va considerato una cosa mobile.
Il tema sarà approfondito dell’ambito dell’evento in aula virtuale organizzato da Paradigma i prossimi 14 e 15 maggio su Frodi, sottrazione di dati e ulteriori illeciti compiuti da dipendenti e collaboratori. Seguirà un Workshop su La corretta gestione delle prove digitali, documentali e testimoniali.
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