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Pari opportunità di genere e generazionale, molto rumore per nulla (o quasi).

Pari opportunità di genere e generazionale, molto rumore per nulla (o quasi).

Levate di scudi, indignazione, allarmi più o meno amplificati hanno accompagnato la presunta (molto presunta) questione del downgrade delle modalità di promozione delle pari opportunità di genere e generazionale nel nuovo Codice dei contratti pubblici.

 

Una premessa è d’obbligo, e non andrebbe mai dimenticata: il Codice dei contratti pubblici nasce come normativa di recepimento interno delle Direttive UE in materia di contratti pubblici (le ultime risalgono al 2014). Le norme sulla parità di genere e generazionale nella contrattualistica pubblica trovano copertura nella Direttiva 24, quella dei settori ordinari, all’art. 18 comma 2, e nelle corrispondenti norme delle altre Direttive del Pacchetto, laddove si dispone che “Gli Stati membri adottano misure adeguate per garantire che gli operatori economici, nell’esecuzione di appalti pubblici, rispettino gli obblighi applicabili in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dal diritto dell’Unione, dal diritto nazionale, da contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro elencate nell’allegato X”.

 

Al contempo, va ugualmente premesso che non esiste una norma generale nel nostro ordinamento che stabilisca la prevalenza generale di clausole di pari opportunità di genere e generazionale nell’esecuzione di commesse pubbliche a scapito di altre clausole sociali, ad es. quella di stabilità occupazionale.

 

All’interno di tale cornice, il D.L. n. 77/2021 ha stabilito in via promozionale misure volte a favorire le pari opportunità di genere e generazionale nei contratti pubblici finanziati con fondi PNRR/PNC, e lo ha fatto essenzialmente attraverso due modalità: la prima, quella di prevedere (art. 47, comma 4, D.L. n. 77/2021) l’obbligo, per le stazioni appaltanti, di fissare nei bandi finanziati a valere su tali risorse, “(…) specifiche clausole dirette all’inserimento, come requisiti necessari e come ulteriori requisiti premiali dell’offerta, di criteri orientati a promuovere l’imprenditoria giovanile, l’inclusione lavorativa delle persone disabili, la parità di genere e l’assunzione di giovani, con età inferiore a trentasei anni, e donne (…)”, imponendo agli operatori economici di assicurare, in caso di aggiudicazione del contratto, una percentuale pari al 30% delle assunzioni necessarie per l’esecuzione dello stesso all’occupazione giovanile e femminile; la seconda, quella di individuare (comma 5) una serie di ulteriori misure premiali e di penalità attribuibili, facoltizzando inoltre le stazioni appaltanti a derogare totalmente o parzialmente dagli obblighi di cui al comma 4 “qualora l’oggetto del contratto, la tipologia o la natura del progetto o altri elementi puntualmente indicati ne rendano l’inserimento impossibile o contrastante con obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche”.

 

Le Linee guida per i contratti pubblici finanziati con le risorse del PNRR e del PNC, volte a favorire le pari opportunità di genere e generazionali e l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità (Decreto Interministeriale del 7 dicembre 2021) hanno provveduto a dettagliare la portata di questi obblighi previsti dalla fonte primaria, ulteriormente chiariti anche dai successivi pareri resi dal MIMS su alcuni degli aspetti di più complessa applicazione (n. 1203/2022 del 22 febbraio 2022; n. 1340/2022 del 30 maggio 2022; n. 1361/2022 del 14 giugno 2022).

 

Il nuovo Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. n. 36/2023), rispetto alla normativa speciale PNRR e rispetto alla disciplina generale dei contratti pubblici contenuta nel previgente Codice, ha davvero depotenziato le pari opportunità di genere e generazionale, come molti hanno sostenuto nei mesi scorsi? La risposta è negativa, e per più ragioni.

 

Innanzitutto, il nuovo Codice ha introdotto una norma totalmente nuova, l’art. 102, sugli impegni esigibili dall’operatore economico, il quale prevede che le stazioni appaltanti, laddove le prestazioni oggetto del contratto lo consentano (espressione simile a quella utilizzata all’art. 47 comma 5 del D.L. n. 77/2021), debbano prevedere a carico degli operatori economici impegni circa il rispetto delle garanzie sociali ivi previste, che trovano pressoché perfetta corrispondenza nella disposizione sulle clausole sociali di cui all’art. 57 comma 1 (stabilità occupazionale, applicazione di trattamenti economici previsti dai contratti collettivi di riferimento per i singoli ambiti di attività e di trattamenti non deteriori ai subappaltatori, pari opportunità di genere e generazionale).

 

Il comma 2 dell’art. 102 onera gli operatori economici partecipanti alla gara di indicare nell’offerta le modalità con le quali intendono farsi carico di detti impegni, e le stazioni appaltanti “con ogni mezzo”, dunque con poteri di verifica assai penetranti, e anche ricorrendo alla richiesta di giustificazioni sull’anomalia delle offerte di cui all’art. 110, accertano l’attendibilità degli impegni dell’aggiudicatario.

 

Ora, tale previsione tutto può essere tranne che un depotenziamento delle pari opportunità di genere e generazionale, che vengono anzi, per tale via, messe “a sistema”, diventando una delle declinazioni ordinarie del rispetto degli aspetti di rilevanza sociale negli appalti. Quindi, diventano un elemento ordinario, e non eccezionale, delle offerte di gara.

 

Nondimeno, i toni polemici contro il Codice e il presunto declassamento delle pari opportunità hanno avuto ad oggetto anche l’asserito minor riconoscimento del valore della certificazione di parità rispetto al quadro normativo previgente. Posto che non esiste ad oggi nell’ordinamento interno, né in quello UE, una disposizione che preveda la possibilità/doverosità di assegnare una specifica rilevanza negli appalti al possesso della certificazione di parità, e che questa non esisteva neppure prima del nuovo Codice dei contratti pubblici, neppure per i contratti PNRR/PNC, posto che l’art. 47, comma 3 bis del D.L. n. 77/2021 prevedeva l’obbligo di produrre la certificazione circa il rispetto degli obblighi in favore dei disabili, nonché (comma 2) il rapporto sulla situazione del personale per le imprese già tenute a dotarsene (e la relazione di genere per le imprese più piccole e comunque con almeno quindici dipendenti), il nuovo Codice ha in realtà mantenuto la possibilità di prevedere criteri premiali in favore delle imprese che promuovano la parità di genere. L’art. 108, c.7, del D. Lgs. n. 36/2023, nella sua formulazione originaria, contemplava infatti la possibile attribuzione di premialità alle imprese che, anche a mezzo di autocertificazione, attestassero di essere in regola con il rispetto dei requisiti di cui all’art. 46-bis del Codice delle pari opportunità (gli stessi alla base della certificazione). Il fatto che la relativa formulazione facesse riferimento all’autocertificazione del possesso dei requisiti alla base della certificazione costituiva soltanto una mera semplificazione, posto che le stazioni appaltanti avrebbero dovuto poi verificare “con ogni mezzo” la sussistenza di tali requisiti, e non vi è dubbio che il possesso della certificazione avrebbe costituito la principale (nonché la più agevole) tra le modalità di comprova producibili dagli operatori economici. Dunque, il cancan mediatico, più che sulla sostanza, si è soffermato sulla sola forma, cavalcando l’ennesima occasione per fare della contrattualistica pubblica uno strumento per perseguire altri fini (imporre la certificazione di parità), senza considerare che il Legislatore del nuovo Codice non aveva inteso relegare la certificazione alla condizione di strumento negletto, ma piuttosto aveva semplicemente guardato alla sostanza dei rapporti di lavoro sottostanti, secondo l’uniforme intento di semplificazione che lo ha ispirato.

 

Ad ogni buon conto, le ragioni dei sostenitori della certificazione di parità, fondate o meno che fossero, hanno avuto la meglio, posto che il D.L. n. 57 del 2023 ha riformulato l’ultimo periodo dell’art. 108, comma 7 del Codice nel modo seguente: “Al fine di promuovere la parità di genere, le stazioni appaltanti prevedono nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti, il maggior punteggio da attribuire alle imprese per l’adozione di politiche tese al raggiungimento della parità di genere comprovata dal possesso della certificazione della parità di genere di cui all’articolo 46-bis del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198”.

 

Infine, altra lamentela circa il supposto minore favor del nuovo Codice verso le pari opportunità ha riguardato la mancata riproduzione, nell’ambito delle garanzie per la partecipazione alla gara, della disposizione che era stata aggiunta (a mezzo dell’art. 34, c.1, lettera a della L. n. 79/2022) all’art. 93 c. 7 del previgente Codice, e che faceva sì che le imprese in possesso della certificazione di parità potessero beneficiare della riduzione del 50% della garanzia. Dalla lettura della Relazione di accompagnamento al nuovo Codice, si può agevolmente constatare come l’intento della Commissione speciale che lo ha redatto (confermato, evidentemente, dalle scelte a valle del Governo) sia stato quello di ricondurre a criteri più semplici e lineari l’assetto delle garanzie, con la semplificazione delle fattispecie che comportano una riduzione dell’importo. In questo contesto, la mancata conferma della riduzione della garanzia a fronte del possesso della certificazione di parità non può essere motivo di particolare doglianza o sdegno, posto che è stato seguito un criterio generale volto, in definitiva, a rafforzare la garanzia provvisoria nella funzione sua propria di tutela dell’interesse pubblico e della stazione appaltante, circoscrivendo il più possibile le riduzioni.

 

La disciplina delle pari opportunità di genere e generazionale e delle altre clausole sociali nei contratti pubblici costituirà uno dei temi oggetto dell’approfondimento, in due giornate, organizzato da Paradigma sul nuovo Codice dei contratti pubblici, previsto in modalità webinar il 10 e l’11 luglio p.v.

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